11 giugno 2012

Nessun altro posto al mondo

<<Un caffè ,grazie. A portar via.>>.
La signorina B. prende la sua bevanda, ed esce dal bar. E’ una giornata di fine aprile e piazza del Popolo è stranamente deserta. Meglio così, pensa la signorina B., il silenzio concilia la camminata. Dei bambini corrono per la piazza, giocando con dei palloncini colorati. Una bambina bionda conduce la truppa, sembra molto spigliata. La signorina B. sembra quasi conoscerla. Le ricorda lei da piccola. Così gracilina, ma così forte. La prima volta che la signorina B. vedeva piazza del Popolo aveva sei anni, e mai avrebbe immaginato che quel posto, molto anni dopo, sarebbe diventato la sua casa. O forse si. In effetti fu amore a prima a vista. I genitori l’avevano portata a Roma una domenica, forse era proprio un giorno d’aprile. I genitori. Erano due giorni che la signorina B. non li sentiva. O tre? Non si ricordava. Ma la sera li avrebbe chiamati. Negli ultimi tempi era stata molto impegnata, molto lavoro, molti appuntamenti. Ma li pensava sempre, nonostante le telefonate fossero rare. La signorina B. aveva un modo particolare di esprimere il suo bene, non era abituata a grandi gesti. Gli aveva scritto delle lettere però. Forse non comprese mai fino in fondo. Come quando gli scrisse per comunicargli che aveva deciso di lasciare il suo paesello di collina e andare a cercare fortuna in città. Il panico si era impossessato dei genitori, che non si erano resi conto di avere una figlia già grande. E nemmeno tanto determinata. Lei, da sola, in una città nuova, grande, piena di lupi. Era impensabile. Ma anche i muri meglio costruiti alla fine crollano, se c’è qualcuno dall’altra parte che vuole farli cedere. Un qualcuno, come  la signorina B. Che alla fine ottiene sempre quello che vuole. Questo il pensiero di sua madre. Ed in parte era così. Quando si fissava un obiettivo, cercava sempre di raggiungerlo. Voleva assolutamente apparire forte, imponente, ammirata da tutti. Di fronte al Vittoriano la Signorina B. si lasciava andare a questi pensieri. Perché aveva sempre voluto dare quell’immagine di sé? Se lo domandava spesso, ma non lo sapeva. Ma da quando era arrivata in città molte cose erano cambiate. Non aveva avuto più un minuto libero, più un minuto di solitudine. La sua piccola casa da studentessa era sempre invasa da amiche. E da amici. La città l’aveva conquistata subito, e mai aveva pensato al suo paesello di collina. Solo a volte si domandava se il suo comportamento fosse stato ingiusto, ingrato nei confronti di quel paesino. Non lo sapeva. L’unica cosa che sapeva era che quando si svegliava nel suo letto di città era felice. Felice di iniziare una nuova giornata, senza quella malinconia adolescenziale che si era portata troppo a lungo dietro. La prima cosa che aveva voluto vedere appena arrivata in città era stato il Colosseo. E subito le aveva trasmesso grande gioia. Aveva voluto iniziare così quella sua esperienza a Roma, sperava le portasse fortuna. Ed era stato così. Stava facendo quello che da sempre desiderava fare. Contro ogni aspettativa. Quando era partita con le sue valige aveva solo il suo coraggio e la sua passione. I genitori avevano cercato di dissuaderla da quel tipo di professione. Non era abbastanza sicura. Ma la signorina B., sempre controcorrente, li aveva convinti. E alla fine li aveva visti felici insieme a lei. La città aveva compiuto un altro piccolo miracolo.
La signorina B. si ferma, ed interrompe la sua camminata. Appoggiata alla ringhiera ammira il Foro Imperiale. È davvero bello al tramonto. Chiude gli occhi e, accarezzata dal venticello leggero, ripensa a tutto ciò che aveva avuto, a quello che aveva perso e a ciò che sarebbe stato suo per sempre. E in quel momento capiva che non avrebbe voluto essere in nessun’altro posto al mondo. Il sole sfuma su Roma e un’altra giornata sta per terminare. Poco male pensa la signorina B., anche il caffè è appena finito.

Ps. Il racconto, con il quale ho partecipato al concorso letterario "Cera di Cupra" 2011, è inedito.
Eleonora Fa

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